sabato 24 gennaio 2015

Marco Esposito: Troppe risorse al Nord e molte chiacchiere al Sud. Siamo in condizioni coloniali…

di SIMONA D’ALBORA


Il 2015 dovrebbe segnare una svolta per ridisegnare l’Italia, mentre sempre più presidenti delle Regioni italiani si dicono d’accordo con la riforma del capitolo V che prevede proprio l’assetto delle autonomie locali quali comuni, province e regioni. Nei prossimi giorni le loro proposte saranno al vaglio di una commissione apposita istituita dal ministro Lanzetta che avrà due mesi di tempo per formulare una base tecnica di discussione che permetta un confronto sulle proposte, dopo di che toccherà alla politica dare le risposte. Gli ultimi in ordine di tempo a chiedere la riduzione e la riorganizzazione delle regioni italiane il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni e il presidente della Campania Stefano Caldoro, che in una conferenza stampa che si è tenuta a Milano, hanno ribadito la necessità di un ridisegno del territorio e hanno annunciato la presentazione di emendamenti alla legge di riforma costituzionale presentata in Parlamento. In questo clima si inseriscono i problemi di un sud che non riesce a decollare, con un tasso di disoccupazione preoccupante e un’arretratezza nelle strutture. Ne abbiamo parlato con Marco Esposito, giornalista, esperto in economia e segretario di Unione Mediterranea.

Se lei fosse il sindaco della città, quali sono le tre priorità su cui concentrerebbe l’azione della sua giunta? 
Sono stato assessore nella mia città, esperienza che mi onora, e ho provato a dimostrare che la correttezza paga. Oggi ci sono mille mercatali in regola in più e migliaia di famiglie che pagano le tasse e hanno risparmiato sulla Rc auto. Ecco, a Napoli la priorità è capire che cambiare si può e dipende da noi.

 E quali sono le cose che non farebbe mai? 
Aggiungere un semaforo e risparmiare sui mezzi pubblici.

I dati del Rapporto Mezzogiorno di Svimez 2014 evidenziano che l’economia italiana è ancora in difficoltà e si allarga la forbice con l’Europa, ma al Sud la recessione è più accentuata. La crisi non risparmia al sud nessun settore. Nel Mezzogiorno si consuma sempre meno e non si investe più. Il crollo è particolarmente marcato negli investimenti pubblici: appena un quinto rispetto a 20 anni fa. Eppure il mezzogiorno continua ad essere fuori dalle priorità del Governo, ai margini dell’agenda Renzi. Non è così? 
Eccome se è così. Non c’è un precedente simile dal 1861. E il governo Renzi, alle prese con una crisi non facile, ha deciso di concentrare le risorse al Nord e le chiacchiere al Sud. Quello che sta accadendo sugli investimenti ferroviari (98,8% al Nord) e sui tagli ai finanziamenti per il Sud (3,5 miliardi, ripeto miliardi!) tolti al Sud al comma 124 della legge di Stabilità 2015 senza dire nemmeno perché. Sottrarre risorse al Sud agli asili nido alle Università significa minare il futuro di un territorio. Inaccettabile. Con i parlamentari meridionali che giocano alle belle statuine.

venerdì 23 gennaio 2015

Università, asili, scuole: L’ammazza-Sud

Lino Patruno,

"La Gazzetta del Mezzogiorno del 23 gennaio 2015, prima pagina

Parlamentari meridionali cercansi. Specie quando è in gioco il futuro dei ragazzi del Sud: esempio, con la scuola e l’università. Anzi cominciando dagli asili nido. Per i quali il delitto perfetto ai danni del Sud è stato consumato nel silenzio assoluto dei rappresentanti del Sud (ne avevamo già parlato tempo fa, quando se ne ebbero tanto le prime turbolenze quanto i primi silenzi). E’ avvenuto che per il finanziamento degli asili nido pubblici si è deciso di affidarsi alla cosiddetta “spesa storica”, nel senso che chi ha avuto in passato ha continuato ad avere, chi non ha avuto in passato ha continuato a non avere. Esempio più clamoroso, Catanzaro: nessun asilo nido prima, nessun asilo nido ora. Ma tante altre città e tanti altri paesi. Così il Sud ha perso 700 milioni, distribuiti al Centro Nord (perdita di Bari, circa 7 milioni).

Ma perché non è stato adottato il criterio del “fabbisogno standard ”, seguito invece per altri servizi comunali come polizia urbana e rifiuti, trasporto e illuminazione? Stabilito quanto serve a ogni Comune, lo si attribuisce. E si sarebbe potuto fare senza togliere nulla al Centro Nord. Nessuna risposta, pur avendo tempo fa il sottosegretario Delrio parlato di “errore tecnico che correggeremo”, anzi errore tecnico “grave”. E pur avendo dato medesima assicurazione lo stesso premier Renzi. E pur chiedendo l’Europa una copertura si almeno il 33 per cento della popolazione, cioè un bambino su tre (Centro Nord ora a poco meno del 20 per cento, Sud 4 per cento).

Nel dibattito decisivo, nessuno dei cinque parlamentari meridionali presenti ha preso la parola (fra loro il lucano Cosimo Latronico, del Pdl, e il pugliese Gaetano Piepoli, Scelta Civica ora Centro democratico). Voto unanime di Pd, Forza Italia, Lega Nord, Cinque stelle, Sel. Poi fanno le indagini sulla qualità della vita e dicono che al Sud fa pena anche perché non ci sono asili nido sufficienti. Fanno più pena loro che non dicono perché.

Dagli asili nido all'università, altro giro altro danno al Sud (d’attualità perché se ne è parlato nei giorni scorsi nella Conferenza d’ateneo a Bari, in occasione dei 90 anni). Anche qui passato nel silenzio quasi generale del Sud un criterio di attribuzione di fondi che è un’arma letale contro il Sud. Più fondi alle università più ricche, meno fondi alle università meno ricche. Come, non il contrario? No, avete letto bene. Ma le università del Sud sono meno ricche perché fanno pagare meno tasse ai loro studenti altrettanto meno ricchi di quelli del Nord. Si arrangino.

Così è avvenuta la distribuzione dei cosiddetti punti-organico, cioè i docenti andati in pensione e da sostituire. Esempio: al Sant'Anna di Pisa, cinque nuovi docenti per ciascuno che se ne va, all'università di Bari 0,20 nuovi docenti per ciascuno che se ne va (solo una bassa insinuazione ricordare che rettore del Sant'Anna era quella professoressa Carrozza poi diventata ministra. A cosa? Ma all'università).

Così negli anni si è consumato anche qui il delitto perfetto dell’enorme taglio per il Sud, sistema rapido per concentrare tutto su poche grandi università (del Nord) e lasciare le altre all'elemosina. Magari tendenza non solo italiana, ma altrove fondata sul merito, non sui redditi. E con effetto moltiplicatore da serial killer: meno docenti uguale meno corsi, meno corsi uguale meno studenti, meno studenti uguale meno incassi, meno incassi uguale finanziamenti, meno finanziamenti uguale meno docenti. Con l’effetto collaterale dei ragazzi del Sud che emigrano nelle università del Nord.

Sono ragazzi arrivati all'università dopo essere stati avvelenati a scuola da testi scolastici da codice penale. Tipo il sussidiario di un editore nordico. Il quale, per spiegare la Questione Meridionale, scrive fra l’altro che “sul tronco di una differenza di sviluppo economico” (già zero in italiano) hanno “preso forma un’organizzazione sociale e un’identità civile profondamente diverse da quelle delle regioni centrosettentrionali”.

Cioè? “Esse sono dominate da un individualismo diffidente, nel quale gli interessi della famiglia o dei clan si antepongono, e inevitabilmente si contrappongono, a quelli dello Stato e della collettività nazionale”. E allora? “Su questo sottofondo pesano gli intrecci clientelari e la pervasività della violenza come pratica diffusa e sostanzialmente accettata per la risoluzione dei conflitti, sul cui tronco (e ridalle, ndr) sono sorte associazioni criminali di dimensioni gigantesche”. Meno male che non hanno scoperto il Sud mettersi le dita nel naso.

Consiglio ai lettori: inutile arrabbiarsi. In casi del genere è sufficiente affidarsi a Eduardo De Filippo e al pernacchio, una fusione di testa e di petto, cioè di cervello e di passione. Che deve significare: “tu sì ‘a schifezza ‘a schifezza ‘a schifezza ‘a schifezza ‘e l’uomm”. Questo è l’Oro di Napoli, cioè del Sud.



lunedì 19 gennaio 2015

Il Sud dimenticato dalla politica

Gianfranco Viesti

Proprio nel momento in cui il Mezzogiorno, colpito dalla crisi assai duramente e in misura maggiore rispetto al resto del paese, avrebbe bisogno di una riflessione culturale e di un’azione politica di straordinaria incisività sembra mancare da parte del governo una strategia all'altezza delle difficoltà del presente. Alcune recenti scelte di politica economica segnano peraltro un arretramento rispetto a quanto fatto dai due esecutivi precedenti. È necessario ripartire dai principi di progresso sociale e di uguaglianza tra i cittadini che dovrebbero ispirare un partito di centrosinistra.

Nel periodo in cui si registra il peggiore andamento per l’economia del Mezzogiorno dall'Unità a oggi, con un arretramento di oltre 13 punti di PIL nel 2013 rispetto al 2007,[1] per un curioso paradosso la riflessione culturale e politica sulle sue possibilità di ripresa e sulle concrete politiche per realizzarle è anch'essa ai minimi storici. È l’effetto di una deriva che viene da molto lontano:[2] quella di “abolire il Mezzogiorno” e ridurre le politiche di sviluppo territoriale in Italia. Una deriva rispetto alla quale sono stati modesti l’interesse e la capacità di risposta della politica e in particolare di quelle forze che si ispirano a principi di progresso sociale e di maggiore uguaglianza fra i cittadini. Deriva oggi aggravata dagli effetti delle politiche di austerità, nazionali ed europee, dalla vera e propria “trappola” in cui è serrata l’economia europea.[3]

Tutto questo, naturalmente, non è responsabilità del governo Renzi. A esso, però, è possibile imputare non solo una assenza di riflessione strategica all'altezza delle difficoltà che il Mezzogiorno sta sperimentando, ma anche un’azione concreta di politica economica che fa nascere dubbi e che per alcuni aspetti sta cancellando i passi avanti che si erano registrati con gli esecutivi Monti e Letta.

Questo può essere esemplificato in negativo da una sola, emblematica vicenda. Con l’articolo 12 della legge di stabilità per il 2015 il governo ha disposto la cancellazione di investimenti nel Mezzogiorno per 3,5 miliardi di euro, tagliando le risorse del Piano di azione coesione.[4] Ciò che colpisce in questa scelta è la mancanza di motivazione specifica: non si trattava di risorse “in scadenza”, né di risorse destinate a Regioni “inefficienti” (dato che per metà l’attuazione del Piano è responsabilità di amministrazioni centrali); tantomeno si trattava di risorse frammentate, dato che esse miravano a grandi, condivise priorità. Non a caso non viene disposto, con la norma di legge, quali interventi saranno tagliati: il governo, semplicemente, usa le risorse per gli investimenti nel Mezzogiorno come un bancomat, esattamente come fatto più volte dal governo Berlusconi nel 2008-11. [5] Non ha giustificato questa decisione e, cosa assai rivelatrice, quasi nessuno gli ha chiesto di farlo, quasi nessuno ha protestato. [6] Il che spiega bene perché si riducono le risorse per investimenti nel Mezzogiorno: perché non costa nulla politicamente; nessuno, ormai, protesta più: a cominciare dai suoi rappresentanti politici, anche dei partiti ora di maggioranza. [7]

Per continuare a leggere l'articolo del Prof. Gianfranco Viesti pubblicato su ItalianiEuropei.it, fai clic su questo link

note
[1] Per un’approfondita analisi delle tendenze economiche si vedano Banca d’Italia, L’economia delle regioni italiane. Dinamiche recenti e aspetti strutturali, Roma, dicembre 2014, disponibile suwww.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/ecore/2014/analisi_m/4314_economia/1443-economia-regioni-italiane.pdfSvimez, Rapporto Svimez 2014 sull’economiadel Mezzogiorno, il Mulino, Bologna 2014.
[2] Su questo punto si permetta di fare riferimento a G. Viesti, Abolire il Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari 2003; G. Viesti, Mezzogiorno a tradimento. Il Nord, il Sud e la politica che non c’è, Laterza, Roma-Bari 2009; G. Viesti, Il Sud vive sulle spalle dell’Italia che produce. Falso!, Laterza, Roma-Bari 2013.
[3] Si veda G. Viesti, Why Europe is in a Trap, in “Stato e Mercato”, 1/2015.
[4] Il Piano di azione coesione è stato definito dal governo Monti, spostando cospicue risorse (circa 9 miliardi di euro) precedentemente destinate al cofinanziamento dei fondi strutturali per il 2007-13 nel Mezzogiorno. Le risorse del Piano erano destinate sia a interventi di più lunga realizzazione, incompatibili con le tempistiche della spesa comunitaria (come le ferrovie), sia ad azioni di particolare qualità, come gli interventi nelle scuole.
[5] Quelle vicende sono dettagliatamente documentate in F. Prota, G. Viesti, Senza Cassa. Le politiche di sviluppo del Mezzogiorno dopo l’Intervento straordinario, il Mulino, Bologna 2012.
[6] Le uniche eccezioni di rilievo sono venute dal vicepresidente di Confindustria Alessandro Laterza e dal presidente della Commissione bilancio della Camera Francesco Boccia.
[7] Un’analisi delle congiunture sociopolitiche del Sud è in G. Viesti, La crisi, il Mezzogiornoe i difetti di interpretazione, in “Meridiana”, 79/2014.

lunedì 12 gennaio 2015

Quando i reclutamenti di combattenti volontari li facevano gli inglesi per "liberare" le Due Sicilie

Gigi Di Fiore


Oltre 50 sono partiti dall'Italia, addirittura un migliaio dalla Francia. Dopo il folle attacco terrorista a Parigi, in questi giorni si sono fatti di nuovo i conti sui giovani musulmani dell'ultima ora, quelli cresciuti in Occidente, che corrono a combattere in Siria con lsis o si arruolano nello Yemen con i capi di al Qaeda.

Il meccanismo di arruolamento è la Rete, o il passaparola di gruppi di amici. Il volontario addestrato nel 2.0 è una realtà. E dall'attualità il richiamo storico di casa nostra va a 155 anni fa, quando il reclutamento, in nome delle battaglie di libertà liberali, veniva fatto in Inghilterra per arruolare combattenti da inviare nell'Italia meridionale.

Erano i volontari che si aggregavano alle camicie rosse di Garibaldi. La parola libertà significava per loro libertà di circolazione delle merci prodotte dalla rivoluzione industriale, che si era consolidata soprattutto nel Regno unito. Significava abbattere la Nazione delle Due Sicilie.

Gli inglesi raccolsero molto denaro, per sostenere l'impresa di Garibaldi: Charles Forbes parla di 30mila sterline. Si pubblicarono diversi annunci sui giornali per mettere insieme volontari combattenti. Oggi c'è la Rete, allora il "Daily news". Con annunci come questo: "Il capitano Edward Styles dello Stato Maggiore di Garibaldi sarà a Londra per pochi giorni. Se qualcuno dei nostri volontari pensasse di scambiare per un po' di tempo i campi di battaglia di Hampstead con quelli di Calabria, riceverebbe una calda accoglienza da Garibaldi"

Per continuare a leggere l'articolo di Gigi Di Fiore fai clic su questo link che ti porterà al suo blog su "Il Mattino" online